TESTIMONIANZA 1

Ho 39 anni. Quando ho avuto l’ictus ne avevo 36. Sono un caso raro, anche se in reparto con me c’era un ragazzo di 17 anni, ma per una deformazione congenita del cervello che gli è esplosa e, lì, non c’è età che tenga.

Nel mio caso è stata una questione di stress e di salute. Ho la fortuna che un collega è un ex guidatore di ambulanze.

Sono in ufficio, al computer da ore, e il braccio sinistro smette di funzionare. Stanchezza. “Prendo un caffè e mi riprendo”, dico al collega. Mi alzo e casco per terra perché anche la gamba sinistra non funziona più. Il collega riconosce i sintomi, chiama gli ex colleghi delle ambulanze e dice di non portare la barella, perché siamo al terzo piano e la barella non passa dall’ascensore.L’ictus è questione di minuti. Salgono con la seggina e mi portano in ospedale.

Mia moglie prima dell’ictus lavorava in un Cafe in genere tornava alle otto e mezzo di sera. Quellavolta, alle nove non è ancora a casa. La chiamo. “Devo fare una cosa urgente, ma stai tranquillo, mangia pure”. A fine lavoro sale in macchina e ha già le prime avvisaglie eppure accompagna una collega, prende per l’argine del Po (quello della Canottieri), fa un pezzo di Via Lavezzola accanto al canale e arriva a casa. Io sono allat elevisione. “Faccio una doccia, mangio qualcosa e mi metto in poltrona perché sono stanca”. Si addormenta lì. La mattina alle 5 sento come un rumore di pentole, ma lo so,che lei per distrarsi dal lavoro tante volte si mette a fare da mangiare. Vado in cucina e la trovo seduta per terra.“Cos’hai fatto?”. “Ma stai zitto, ho perso l’equilibrio e sono caduta. Non riesco a tirarmi su”.

mi sono perso. Davvero mi sono perso, c’è voluto qualche minuto perché iniziassi a capire. Il medico di mia mamma che è un amico di famiglia mi diceva sempre “Quando hai bisogno chiama” e io lo chiamo, gli spiego. “Qui ci vuole il 118 perché la cosa è grave”.