E chiamale se vuoi EMOZIONI cantava Lucio Battisti

Laura Lambertini, Ferrara 11/05/2024

Il 28 dicembre 2023 siamo stati colpiti da un ictus.

Alle 9.15 circa trovo mio marito riverso sul letto, morente.

DISPERAZIONE. Disperazione attiva: telefono al 118, salgo e scendo le scale, spalanco la porta di ingresso. Arrivano presto, sì, i soccorsi sono tempestivi. L’autoambulanza parte per l’ospedale di Cona.

Chiamo nostro figlio. Quando arriviamo al Pronto Soccorso ci dicono che Antonio è molto grave e non hanno potuto eseguire la procedura di rimozione del coagulo.

Piango.

Al neurologo dico: “La prego, nessun accanimento terapeutico.”

La vita è un viaggio. Cerchi di organizzarlo al meglio, un programma più o meno stabilito…

Poi improvvisamente si presenta una SOSTA FORZATA in una località che sapevi esistere, ma che non volevi

visitare. Così perdi tutto: la tua “valigia esistenziale” si disfa e rimani FRAGILE.

Sulla strada che io, Antonio e i nostri figli, Roberto e Chiara, stavamo percorrendo è precipitato un grosso masso che l’ha interrotta.

Arriva la CONSAPEVOLEZZA che per continuare il NOSTRO VIAGGIO dobbiamo imboccare un SENTIERO LATERALE, stretto, non asfaltato, con grosse buche, dal quale non si può fare retromarcia.

Dopo qualche giorno si percepiscono i primi “migliorini” e allora ti rivesti di SPERANZA, “la riserva di bene che il possibile contiene e che, ad ogni momento, si può realizzare” (S. Natoli, L’esperienza del dolore).

Intorno a te tanti sconosciuti, forti nel loro ruolo perché guidati dalla conoscenza della Scienza e della loro

esperienza.

Dopo circa un mese dal reparto di neurologia arriviamo al reparto di Riabilitazione del S. Giorgio.

Non è stato facile!

Ecco cosa scrive nostra figlia che non poteva partecipare alla riunione con gli specialisti che seguivano Antonio:

Nella nostra storia ci sono tre personaggi.

Nessuno di essi è cattivo e agisce per il male di qualcuno degli altri, ma per qualche ragione il male è ben presente nella storia.

È presente nel prologo, perché l’antefatto prevede che uno dei personaggi, Antonio, sia stato colpito da una malattia difficile, un ictus che lo ha lasciato emiplegico e afasico. È presente nello svolgimento, perché l’ambientazione vuole che Antonio e gli altri due personaggi, il reparto ospedaliero in cui sta conducendo la riabilitazione e la sua famiglia, si muovano in una società “mancante” (di risorse, di tempo, di dotazioni, di intelligenza emotiva ecc.).

Dunque Antonio, che vuole tornare a casa per riprendersi la sua vita o almeno una nuova versione di essa, si trova ora al centro di un tiro alla fune e assiste allo spostamento della corda da un campo all’altro: dal reparto, che oppresso dai ritmi imposti oggigiorno alla sanità pubblica vuole liberare velocemente i letti in struttura sapendo delle persone che fuori li aspettano, e della famiglia, che molla la presa nel vedere la felicità di Antonio nell’essere a casa, ma la riprende con affanno disperato non potendo ignorare le difficoltà oggettive che si trova ad affrontare da sola. 

Ora, tutti i personaggi sono molto stanchi. E la stanchezza porta spesso a essere arrabbiati.

In questa storia lo sono tutti: Antonio perché non può più essere la persona che era prima, indipendente da tutti e forte contro ogni prevaricazione del sistema contro il piccolo (quanti ricorsi contro ingiustizie delle agenzie delle entrate, compagnie elettriche o simili faceva non appena trovava un loro dolo!), il reparto perché lavora in condizioni che non sono a misura di uomo (d’altronde la società non lo è, piuttosto è a misura di numero) e la famiglia perché non riceve il supporto che servirebbe nel gestire una condizione che improvvisamente ha cambiato tutto un equilibrio creato in una vita. 

Le due fazioni tirano, a volte si comprendono e allentano la presa, a volte passano alla difensiva e danno strattoni più forti, ma quel che è sicuro è che Antonio in centro non riesce a tenere la posizione e cade nel fango, guardando da sotto in su come procede la competizione.

In questa storia ci sono tre personaggi e il problema che la rende una tragedia è che non formano una squadra.

Veniamo dimessi il 12 Aprile: in totale 107 giorni.

Ora devi recarti al day hospital tre volte alla settimana! Sei a casa e ti senti SOLO!

Ma perché solo? Perché i tuoi amici e parenti sono rimasti sulla strada di prima e ti aspettano là, ma tu là sai che non ci potrai più tornare.

E allora il 19 Aprile invio una mail ad ALICE: “Per noi non sarà più la stessa vita, ma è vita…siamo fragili in questo nuovo mondo, ma noi desideriamo vivere alla grande anche questa nuova vita!”

Il 26 Aprile ricevo la telefonata del Presidente, mi dice che di martedì il gruppo dei “come noi” si ritrova, mi dà i riferimenti.

Il sentiero stretto comincia ad allargarsi e vedi qualche riflesso di luce e una voce: “Forza, ci sono passano prima di te e come ce l’ho fatta io ce la puoi fare anche tu a percorrere questo sentiero.”

Martedì 30 Aprile alle 17.45 arriviamo da ALICE.

Antonio ascolta (lui è afasico), “Si ricordi, si può solo migliorare!”, e io ci credo: i “migliorini” possono continuare.

E io? Cosa posso fare io per accompagnare mio marito che è anche emiplegico e afasico, che è qualcosa in più e non qualcosa in meno rispetto a prima?

Non devo fare come sto/stavo facendo io, che voglio/volevo proteggerlo da tutte le sue possibili CADUTE, diventando per lui come un airbag…che al momento dello scoppio può fare anche tanto male.

Bisogna esserci e non esserci, perché tu non sei la sua gamba o il suo braccio o la sua parola.

Quelle cadute non gliele puoi impedire: lui conosce la sua gamba, tu no!

Non è facile. Perché proteggendolo proteggi anche te stesso, perché sai che di forza te n’è rimasta poca e non ne avresti più per affrontare di nuovo quel calvario.

Un solo “martedì” mi ha portato a questa nuova CONSAPEVOLEZZA, direi che non è poco e per questo io ci sarò se ALICE mi vorrà.

Mio marito non lo so, lui è sempre stato un solitario…ma ora abbiamo bisogno degli altri, non ci possiamo bastare!

Ma se la mia/nostra solitudine si sta attenuando, non è così per la RABBIA. Durante tutti questi quattro mesi e dieci giorni non è il dolore che ti fa arrabbiare, ma la burocrazia cui sei chiamato a far fronte!

Devi presentare domande su domande alle quali loro possono rispondere con i loro tempi. E tu, che avresti bisogno della 104? Che devi acquistare tanti ausili? Non hai ancora la documentazione che accerti l’invalidità!

E allora anche la disabilità è un lusso che non tutti si possono permettere.

Mio marito deve fare una visita cardiologica e al CUP mi hanno detto che la prima disponibile è a febbraio 2025.

E allora anche la prevenzione è a pagamento!