Spesso, per l’indignazione, si esclama “non ho parole”. Normalmente si aspetta giusto qualche secondo per poi continuare mettendone in fila parecchie, perché in realtà si sente il bisogno di dire quelle parole dichiarate mancanti.
Ecco, io da un po’ sono costantemente indignato. Un indignato resistente, impeccabile, che non aggiunge nient’altro. Perché io le parole non le ho davvero. O meglio, ne ho tantissime nella mia testa: volano, ballano prendendosi a braccetto, fanno qualche giro, poi si assottigliano e vorticano via. Alcune prendono la strada giusta, a volte: escono pulite e a proposito generando un’ondata di entusiasmo in chi mi sta attorno. Ma la maggior parte resta lì, a ballare nella metà sfortunata di questa testa. Provo a chiedere loro: sto cercando proprio voi, potete fermarvi un attimo e uscire dalla mia bocca? I primi mesi lo chiedevo supplicando, adesso quasi per scherzo, se vi va, se avete voglia, tanto ho capito che farete come vi pare, qualche volta mi accontentate, spesso no.
Non sono mai stato un chiacchierone, quindi l’afasia non ha scelto il palco migliore per mettere in scena questo suo scherzo maledetto. Non mi ha tolto quanto avrebbe tolto ad altri. Però mi piacerebbe spiegare a mio figlio come fare alcune manutenzioni, a mia figlia come inserire una voce nella dichiarazione dei redditi e a mia moglie come si imposta la pompa di calore che ho dimensionato io. Ci provo, mi aggrappo alle parole che passano, con più o meno ostinazione in base ai momenti. Mi innervosisco o anche no, ormai!
Non ho parole. Da quella sfortunata notte quell’esclamazione è la mia realtà
CHIARA
